Lontano dagli occhi: ripensare la collezione del museo
Il Museo dell'Arte Ebraica Italiana racconta la storia delle comunità ebraiche in Italia e nel mondo, attraverso mostre che insieme creano una trama di ricordi, esperienze, sentimenti e storie. Fin dalla sua istituzione, i caveau del museo hanno accumulato molti oggetti i quali riflettono l'identità e l'unicità del museo stesso e delle comunità che rappresenta.
La mostra Lontano dagli Occhi desidera questa volta volgere lo sguardo verso l’interno, sulla collezione del museo, cercando di far luce sul lavoro di raccolta che il museo ha attuato sin dalla sua fondazione, sul lavoro di registrazione e creatività curatoriale, e sulle mostre ivi presentate nel corso degli anni. Per la maggior parte, i musei che si occupano di arte ebraica, etnografia e storia del popolo d’Israele, presentano mostre che riflettono i concetti e i dei modi tradizionali di presentare l'identità ebraica, la cultura ebraica e l'arte ebraica. La mostra che vi attende cerca di sfidare queste percezioni, porre domande, sollevare dubbi e offrire alternative ai modi in cui gli oggetti sono stati presentati e messi a disposizione del grande pubblico nel corso degli anni.
Questa mostra, come suggerisce il nome stesso, invita i visitatori a entrare dietro le quinte del museo, a sbirciare nelle casseforti sotterranee del nostro museo attraverso l'installazione di un'opera video creata appositamente. Questa installazione mette in discussione preziose questioni curatoriali che confluiscono nella importante domanda: quali oggetti meritano d’essere esposti in primo piano nel museo?
Negli spazi espositivi della mostra vedrete esibiti oggetti legati ad aspetti religioso-cerimoniale accanto a oggetti appartenenti alla vita quotidiana degli ebrei italiani, molti dei quali non necessariamente conformi al canone estetico diffuso: alcuni sono danneggiati, altri mostrano i segni del tempo o hanno parti mancanti. Ciò nonostante, tutti restano importanti, tutti raccontano la loro storia unica, la storia della collezione di questo museo e la storia degli ebrei italiani.
La mostra fornisce così uno spaccato sulla storia della collezione, sul processo di raccolta di quelle opere e oggetti che costituiscono oggi il Museo d’Arte Ebraica Italiana, permettendo di raccontare a voi gli sforzi attuati da Shlomo Umberto Nahon il quale riuscì a partire dalla metà del XX secolo, con l’aiuto di persone giuste e rette, a mettere in salvo i tesori culturali delle comunità ebraiche d’Italia.
Curatrice - Reut Di Veroli, Curatrice associata - Yasmin Harari, Consulenza curatoriale e accademica - Ido Lahav Noy PHD, Design – Zugraphi – Design Studio, Ketzat Aheren Itzuv Veshilut Ltd, Assistenza tecnica – Raoul Fersard, Omer Geva, Noam Gelbman, Editing (ebraico) Ilana Danon, Editing (inglese) Barbara Gingold, capo dipartimento educativo– Galit Zarhi, Social Media – Itzik Sapir, ringraziamento speciali a – Néomi Tedeschi Leah Felber.
Direttore – Daniel Niv, Membri del consiglio – David Felber (Presidente del consiglio), Pnina Ein-Mor, Astore Modena, Mirella Nissim Rami Ozeri, Michael Racah, Itzik Shwekey, Néomi Tedeschi.
Le casseforti
I preziosi tesori del Museo d'Arte Ebraica Italiana sono custoditi lontano dagli occhi dei visitatori, in casseforti nascoste nei sotterranei. La maggior parte di essi viene avvolta in materiali speciali che aiutano a preservarli e conservarli nel tempo. Ciascuno degli oggetti che entra a far parte della collezione del museo, viene registrato e riceve un numero di catalogazione che lo accompagnerà per sempre. L’accurata registrazione degli oggetti consente di individuarli e localizzarli quando necessario e in ogni momento. L'installazione dinanzi a voi è stata creata appositamente così da poter mostrare, creando una fedele riproduzione delle nostre casseforti, come gli oggetti qui conservati vengono custoditi e organizzati nei nostri caveau.
Su uno degli scaffali potrete notare una Haggadah di Pesach aperta alla pagina del noto canto "Betzet Yisrael" (Psalm 114). Avvicinandosi, in sottofondo sarà possibile sentire l'antica versione secondo la melodia italiana, cantata dal coro della Sinagoga italiana di Gerusalemme, diretto da Esther Ottolenghi.
Quando Israele uscì dall'Egitto,
la casa di Giacobbe da un popolo barbaro,
Giuda divenne il suo santuario,
Israele il suo dominio.
Il mare vide e si ritrasse,
il Giordano si volse indietro,
le montagne saltellarono come arieti,
le colline come agnelli di un gregge.
Che hai tu, mare, per fuggire,
e tu, Giordano, per volgerti indietro?
Perché voi, montagne, saltellate come arieti
e voi, colline, come agnelli di un gregge?
Trema, o terra, davanti al Signore,
davanti al Dio di Giacobbe,
che muta la rupe in un lago,
la roccia in sorgenti d'acqua.
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L'opera video della produzione 'Analog.Front' di Arik Futterman e Ariel Snapiri che si erge in questo spazio è un vero e proprio scorcio aperto sui sotterranei del museo. La possibilità di sbirciare è resa possibile grazie all'ausilio delle fotografie provenienti dalle telecamere di sicurezza a circuito chiuso, collocate in diverse zone dei caveau. L'opera invita a entrare nei sotterranei e offre la possibilità di godere della visione unica delle ricchezze qui presenti, mentre si osserva il personale del museo svolgere il suo lavoro quotidiano, l'importante lavoro di registrazione, documentazione e conservazione dei pezzi.
L'opera video è collegata indirettamente all'esposizione permanente presente in questo spazio: le sei cassette di beneficenza fissate a parete e suddivise in vari istituti e missioni di beneficenza, una vetrina contenente le chiavi degli Armadi Sacri permanentemente esposti nel museo. Il comune denominatore è la conservazione e la protezione: le casseforti che si mostrano nell'opera video custodiscono gli oggetti della collezione; I fondi di beneficenza conservano i soldi provenienti dalle donazioni; gli Armadi Sacri venivano usati per custodire i libri della Torah e gli utensili sacri delle Sinagoghe. Tutte queste operazioni di raccolta e conservazione, che apparentemente non sono altro che operazioni tecniche, sono tutte in realtà attività cruciali che consentono e ci conducono a raccontare la storia di questo museo qui oggi.
I Nascosti
L'Armadio Sacro esposto in maniera permanente in questa stanza, fu donato alla sinagoga di Mantova nel 1543 assieme alle sedie che lo accompagnano. Qui in piedi in tutto il suo splendore, l'Armadio è un esempio di quegli oggetti, in gran parte legati alle cerimonie religiose, che per lo più vengono messi in scena nei musei ebraici di tutto il mondo. Tuttavia, molti altri oggetti relativi ad altri aspetti della società ebraica spesso rimangono conservati lontano dagli occhi dei visitatori. Ciò che la Mostra “Lontano dagli occhi” desidera fare è offrire una nuova prospettiva sulle collezioni ebraiche, offrire modi alternativi di raccontare la storia delle comunità ebraiche attraverso gli oggetti che venivano usati e arricchivano la vita quotidiana.
La varietà di oggetti qui esposti solitamente non viene inclusa nelle convenzionali esposizioni di tesori appartenenti alla tradizione ebraica. Ciascuno di questi oggetti, da solo e insieme, racconta qualcosa sugli ebrei d'Italia, sugli individui e sulla comunità. Tali oggetti e averi sono un ricordo della vita, dei costumi e delle tradizioni che prevalevano nelle comunità. Ci riportano ai giorni di vita quotidiana e agli eventi significativi del vivere, dando testimonianza del posto occupato dall’uomo negli spazi privati e pubblici, raccontandoci degli spazi sacri e profani e permettendo una comparazioni tra l’antico e il contemporaneo.
I Respinti
Guardare la collezione dall'interno solleva interrogativi che riguardano non solo il tema degli allestimenti ma anche l'aspetto estetico degli oggetti che solitamente trovano posto negli spazi espositivi. Nei musei ebraici di tutto il mondo, le scelte dei curatori sembrano essere influenzate dalla percezione della bellezza e dello stile che generalmente mettono d'accordo i più, nonché dall'integrità degli oggetti e dal loro stato di conservazione. È possibile che queste percezioni abbiano interessato anche il nostro museo, e così negli anni sono rimasti nei caveau oggetti che apparentemente non rispettavano i canoni estetici accettati, invisibili ai visitatori.
In questa occasione, però, abbiamo considerato l'intera collezione del museo ed esposto oggetti che a prima vista possono apparire un po' diversi, strani e insoliti. In questa stanza vi invitiamo ad aprire gli occhi e il cuore mentre osservate oggetti rotti, danneggiati e imperfetti. Mai prima d'ora avevano avuto la possibilità di raccontare le loro storie, eppure proprio venendo a conoscenze e attraverso di essi che ci è possibile conoscere un poco di più l'ebraismo italiano e la collezione del museo. La visibilità di questi oggetti ci permette ora di scoprire e apprezzare le loro saghe, immaginare i loro proprietari originari e le comunità che hanno servito in passato, comprendere ancor meglio l’anima del museo stesso.
La Collezione
La storia della collezione di questo museo ebbe iniziato con l’operazione di salvataggio del patrimonio materiale dell'ebraismo italiano. Operazione questa che avvenne a metà del secolo scorso sotto la direzione di Shlomo Umberto Nahon, in collaborazione con rappresentanti delle comunità e rappresentanti di uffici governativi in Israele e in Italia. In seguito ai cambiamenti nella natura delle comunità, allo spostamento verso le grandi città e soprattutto ai gravi danni che le comunità subirono durante la seconda guerra mondiale e i conseguenti mutamenti demografici e sociali, molte di esse si ridussero notevolmente o addirittura cessarono di esistere. La missione di Nahon era quella di salvare i beni delle comunità ebraiche italiane e restituirli all'uso. Durante l'operazione di salvataggio, trentotto Armadi Sacri vennero portate in Israele dall'Italia, oltre al contenuto di diverse sinagoghe italiane. Agli oggetti che venivano portati in Israele venne data una casa nuova e una nuova vita. Parte venne donata alla Sinagoga italiana di Gerusalemme, altri oggetti e Armadi arrivarono a sinagoghe e comunità di tutto il Paese. Nel corso degli anni la collezione si è arricchita di oggetti rituali e donazioni da parte di privati e comunità ebraiche italiane, i quali videro nella collezione del museo il luogo più degno e idoneo nel conservare le proprie storie e memorie.
In questo spazio abbiamo l'opportunità di conoscere l'essenza della collezione e porre domande su di essa. Come ha avuto inizio e qual era il suo scopo? Rappresenta alcune comunità o tutto l'ebraismo italiano? L'operazione di raccolta è stata pianificata o casuale? Sulla base di quali criteri si determina l'immissione di un oggetto o meno nella collezione del museo?
La mostra Lontano dagli Occhi vuole essere di fatto un viaggio di ricerca e scoperta. Gli oggetti delle collezioni del museo che abbiamo deciso di portato alla luce e qui esposti, suscitano domande che sono parte integrante di un processo di apprendimento senza fine.
Shlomo Umberto Nahon, storia di un uomo lungimirante (Scritto in collaborazione con la famiglia)
Shlomo Umberto Nahon nasce nel 1905 da una tradizionale famiglia sefardita nella città di Livorno, in Italia. La comunità ebraica di Livorno esisteva sin dalla fine del XVI secolo; a differenza di altre città italiane, dove gli ebrei vivevano nei ghetti, Livorno permise agli ebrei di stabilirvisi come liberi cittadini. L'attività ebraica era ampia e vivace, c'erano un seminario rabbinico (Beit Midrash), diverse sinagoghe attive e una tipografia ebraica.
I genitori di Nahon instillarono in lui un grande amore per l'ebraismo. Sebbene da bambino fosse iscritto a una scuola pubblica, sin dall’inizio ricevette lezioni private rabbiniche su studi sacri e sullo studio dell’ebraico. All'età di diciotto anni fondò un circolo di cultura ebraica e un anno dopo, nel 1924, fu tra gli organizzatori di un convegno sionista a Livorno, con la partecipazione di un pubblico eterogeneo proveniente dalle comunità ebraiche di tutta Italia.
Durante gli studi accademici all'Università Bocconi di Milano, era Nahon considerato lo spirito guida del circolo studentesco ebraico, e dopo la laurea, a ventitré anni, venne nominato Segretario Generale della Federazione Sionista Italiana, di cui successivamente ne divenne il vicepresidente. Durante i suoi anni di lavoro nella Federazione, che durarono fino alla sua aliyah in Israele nel 1939, fu per diversi anni direttore del settimanale Israel, e fu in contatto con i leader del sionismo Europeo, Nahum Sokolov e Menachem Osishkin, Haim Weizmann e Nahum Goldman. Fece loro relazioni sulla situazione nell'Italia fascista, sui mutamenti e sul clima politico italiano. Tra gli anni 1931-1939 partecipò a tutti i Congressi Sionisti come delegato per conto della Federazione Italiana.
Nel 1939 emigrò in Eretz Israel insieme a sua moglie, Anita nata Levi, la loro figlia maggiore Leah e sua madre. La famiglia si stabilì inizialmente a Tel Aviv, dove nacque la loro seconda figlia Simcha, e nel 1945 si spostò a Gerusalemme. Durante i suoi primi anni in Israele, Shlomo ricoprì diverse cariche per conto di Keren Hayesod nei paesi europei, nel Nord Africa e nel Congo belga. Nel 1945, ancor prima della fine della guerra mondiale, compì una missione di due anni come rappresentante dell'Agenzia Ebraica in Italia. Durante questa missione lavorò duramente per rafforzare le comunità distrutte dalla guerra, contribuendo alla riorganizzazione del movimento sionista in Italia e aiutando l'associazione The Diaspora Center a creare centri di formazione per i rifugiati, fornendo loro cibo tramite il UNRWA e il The Joint. Durante questi anni il ruolo principale di Nahon era quello di procurare visti di immigrazione per i profughi ebrei provenienti dai paesi europei che desideravano raggiungere Israele.
Nel 1946 entrò a far parte dello staff dell'Agenzia Ebraica e vi lavorò fino al suo pensionamento. Che parte del suo lavoro nel dipartimento, Shlomo serviva come segretario in ogni congressi sionista che si teneva a Gerusalemme ed era responsabile, per conto dell'Organizzazione, dell'ospitalità dei grandi statisti del mondo durante le loro visite al Monte Herzl. Inoltre, si occupò di coltivare rapporti con organizzazioni ebraiche in Italia e con organizzazioni di ebrei sefarditi nel mondo. In tutto ciò, Nahon proseguì il suo lavoro giornalistico, scrivendo centinaia di articoli su giornali ebraici, attività grazie alla quale portò la parola di Israele alle comunità ebraiche di tutto il mondo.
Fedele a se stesso, uno degli obiettivi principali di Shlomo Umberto Nahon era quello di diffondere in Israele la conoscenza dei tesori culturali unici degli ebrei italiani, e da questa sua necessità nacquero molte delle sue pubblicazioni relative alla storia e alla vita degli ebrei in Italia. Tra le altre cose, avviò la pubblicazione di una nuova edizione, commentata e illustrata dal dott. Daniel Goldschmidt e con l'introduzione redatta da Shmuel David Luzzato, del libro di preghiere mahzor secondo il rito romano, accompagnato da spiegazioni sulla unicità della forma italiana di preghiera conservatasi dal tempo della distruzione del Secondo Tempio e dell'esilio romano fino ad oggi. Tale versione è quella tuttora in uso durante le preghiere che si tengono nella sinagoga di questo edificio, sinagoga che Shlomo guidò come un capofamiglia per molti anni.
Ma il punto culminante del suo impegno sionista fu l’audace progetto di portare gli Armadi Sacri e il contenuto delle sinagoghe italiane in Israele. Credeva fermamente che tramite questa grande operazione di salvataggio, gli ebrei d'Italia avrebbero avuto il privilegio d’essere tra i primi ad adempiere alla visione profetica "In futuro, Sinagoghe e Batei Midrash di Babilonia saranno stabiliti nella Terra d'Israele” (Megillah 99). Questa attività, avviata e svolta da Nahon, è proseguita per circa vent'anni e gli oggetti da lui portati in Israele costituiscono la base della collezione del museo. A tal fine, la mostra espone il taccuino privato di Nahon, nel quale vengono dettagliatamente elencati gli oggetti portati dall'Italia, accanto ai taccuini dei responsabili della collezione del museo nel corso degli anni.
Shlomo Umberto Nahon era una figura ispiratrice, un uomo di larghe vedute e capace di grandi azione, intriso di forte motivazione, dalle capacità oratorie incredibili e gran conversatore, un uomo intraprendente e dal pensiero profondo, una mente acuta e dal cuore caldo, dotato di spiccate capacità organizzative e d’esecuzione, sua era l’abilità di trascinare gli altri con sé e di ispirare all'azione. Morì a Gerusalemme il 15 gennaio 1974.
Il Museo d'Arte Ebraica Italiana, istituito nel 1983, è stato intitolato a lui come riconoscimento del suo lavoro di un’intera vita.